Teatro

"Cinéma!": un film muto al Festival del Teatro Europeo

"Cinéma!": un film muto al Festival del Teatro Europeo

Il teatro europeo ha perso la parola. Non consideratela una battuta. E’ un modo di individuare il tratto che lega, con le dovute eccezioni, la decina di spettacoli che, nell’arco di una settimana, hanno fatto da ossatura al festival diretto da Beppe Navello giunto gagliardamente alla settima edizione. Nei matrimoni si vuole che il settimo anno sveli un’incrinatura. In questo caso è vero il contrario. Inserito in una Fondazione, il festival ha acquistato ossigeno e slancio, tanto da consentirsi una produzione vera e propria, che Navello ha portato al Gobetti dinanzi a un pubblico fitto e tripudiante. Cinéma! s’intitola la sua creazione e altro non è che un film muto rappresentato in teatro con gli strumenti del teatro ma con la grammatica del cinema, ossia con le inquadrature, i primi piani, i piani sequenza, i piani americani. La storia è ingenua e semplice, proprio come si sarebbe visto in un film degli anni Venti. Ruota intorno ad un anello perduto, ritrovato, rubato, donato, conteso da cinque personaggi molto schematici: una fidanzata maltrattata, una donna di buon cuore traviata dalla vita, una bellona scaltra e di acquistabile passionalità, un ladro manesco e ingannatore, un innamorato ingenuo. Costoro si infilano in avventure che avrebbero deliziato un lettore di romanzi d’appendice. Passano per tradimenti sentimentali, per voglia di suicidio sempre frenata, per prigioni ingiustamente patite, per lusso, miseria e delirio amoroso. Vivono la loro vita fittizia dentro le «inquadrature» che li incorniciano. A volte, nel loro vivere accelerato e sopra le righe, si lasciano scorgere soltanto attraverso il moto delle gambe in corsa, come accadeva in un vecchio film di Jacques Tati. Lo spettacolo è inatteso, divertente, svelto, molto ben fatto e altrettanto ben recitato da Aziz Arbia, Daniela Marcelli, Assunta Serena Occhionero, Carlo Nigra e Fiora Giappiconi, che pur rinunciando all’uso della voce sanno esprimersi magnificamente con il corpo e il volto, reincarnando i «vilain», le mangiauomini e le ingenue di una volta. Doveroso citare le scene di Francesco Fassone e i costumi di Brigida Sacerdote. Da un silenzio all’altro, ecco Rendez-vous della Lanterna Magika. Forte della sua gloriosa storia, la compagnia ha inaugurato il festival. Forse avrebbe dovuto dargli una sorta di sigillo araldico, trascurando il fatto che anche le nobiltà decadono. Il teatro fondato nel ‘58 a Praga da Alfred Radok e Josef Svoboda, dal 2002 è diretto dal coreografo Jean-Pierre Aviotte, che logicamente vi ha impresso il proprio segno. Ex ballerino di Roland Petit, Aviotte ha privilegiato la spettacolarità danzata, mettendo in ombra l’abbagliante armamentario illusionistico che fu di Lanterna Magika. Rendez-vous narra l’incontro tra un torero e il toro. Con una ventina di attori-danzatori mostra ciò che in tauromachia si chiama «il momento della verità». In questo caso una verità amarissima per il matador. Lo spettacolo parte da una suggestione stellare. Lo spettatore crede di volare nello spazio e, perforando galassie, atterra su una plaza de toros, dove si scatena l’atavico duello. L’animale non ha nulla di bestiale, anzi è rappresentato come una danzatrice vestita di nero, con l’aria molto fatale, che trascina l’uomo alla perdizione. Il racconto ha uno sfondo cinematografico di balconate, corridoi, interni di caffè, è scandito da una danza lussuosa, si divide tra realismo e sogno, visita addirittura l’aldilà dei toreri. Ma, pur impeccabile nell’esecuzione, non sa evitare lungaggini e tortuosità. Il rodeo di vita e morte è calligrafico, vortica con tale narcisismo da generare quella particolarissima noia legata alla perfezione inutile.